L’ultimo romanzo di Maurizio De Giovanni s’intitola “Sara al tramonto” (Rizzoli, 2018). Nelle intenzioni dell’autore è l’avvio di una nuova serie, ma, per diversi motivi, non è al pari né del commissario Ricciardi (il suo ciclo migliore) né de I bastardi di Pizzofalcone.
In primo luogo Napoli non è più protagonista: se prima costituiva non solo un’ambientazione, ma un vero e proprio personaggio dei racconti, in questo caso la localizzazione geografica praticamente non esiste: si parla di una generica periferia che potrebbe essere ovunque. Magari lo scrittore voleva svincolarsi dalle logiche partenopee per avere un appeal più internazionale, ma la scelta fa sì che la scena in cui si muovono i protagonisti risulti anonima.
Per quanto concerne il giallo in sé, risulta piuttosto banale con una soluzione scontata che non trova quel colpo di scena in grado di affascinare il lettore.
Sicuramente De Giovanni ha voluto puntare maggiormente sui personaggi che non sulla trama, tuttavia anche qui, nonostante l’idea iniziale sia apprezzabile, scade poi nei cliché ai quali questo pur notevole scrittore ci ha già abituato in passato.
Sara è una donna non vecchia ma che si trascura. Ha un passato nei Servizi Segreti che ha in qualche modo rinnegato. La sua specialità è quella di non farsi notare e di interpretare il senso autentico dei discorsi delle persone tenute sotto controllo attraverso il linguaggio del corpo. La sua decisione di ritirarsi anzitempo dall’attività è dovuta alla morte del compagno, peraltro suo superiore, per il quale aveva abbandonato tutto. Ed è appunto l’eco di questa mancanza che, come una voce fuori campo, le riverbera nella testa ogni poche pagine. Una condizione vedovile alla quale non riesce a rassegnarsi.
Richiamata in servizio per far luce su un omicidio che apparentemente è già stato risolto, cioè l’assassinio di un magnate per mano della figlia, trovata accanto al cadavere sotto l’effetto di droghe, si trova a collaborare con un poliziotto sgangherato, Davide Pardo. Per molti versi quest’ultimo ricorda  Marco “Serpico” Aragona de I bastardi senza però averne la sfrontatezza.
Per questa ragione riprende la sua professione: per stabilire la verità in un caso che doveva già essere archiviato, dove la presunta assassina non ricorda ma nemmeno nega di aver compiuto l’efferato delitto.
Più che sulle dinamiche investigative, però, De Giovanni punta su quelle familiari e sentimentali: il rapporto di Sara con il figlio, che ha lasciato insieme al marito per seguire l’amore della sua vita, e che ora è morto; il nuovo rapporto con la nuora, pure lei vedova, che aspetta un bambino e la renderà nonna; la relazione dei due figli della vittima con il genitore oppressivo: lei ribelle e lui invece sottomesso alla figura del padre – padrone; la figlia dell’accusata e nipote del morto, che viene affidata agli zii, dove però non sembra essere felice e anzi deperisce giorno per giorno; la cognata dell’omicida che invece non ha potuto diventare mamma e quindi si affeziona morbosamente alla nipotina; l’investigatore Pardo che sogna una famiglia e che invece non riesce a costruirla (l’unico “affetto” lo ottiene da un esuberante e incontrollabile bovaro del Bernese).
Forse è proprio questo eccessivo sentimentalismo, talora stucchevole, che rende il nuovo romanzo di De Giovanni più appetibile per le lettrici, e si sa che il pubblico femminile compone la maggioranza dei lettori, che non per gli amanti della letteratura gialla.
Difficile dire, quindi, se “Sara al tramonto” sia un’abile mossa di marketing o se l’autore creda davvero in questo nuovo filone di avventure che ci propone. Tuttavia, anche se spiace dirlo per uno scrittore che ha dimostrato potenzialità ben superiori, stavolta si arriva malapena alla sufficienza.

Davide Savorelli